Silenzio
Dedicato a Jonathan Safran Foer
-E a quell’altro mio Jonathan-
Per aver illuminato
Ogni cosa
 
 
Era stranopensare che non potesse comunicare come gli altri. A prima vista si sarebbedetto un tizio qualunque, un po’ bizzarro magari, ma nulla di più. E invece nonspiccicava parola da otto anni, sette mesi e quindici giorni. Il conto loteneva lui stesso sul calendario dello sgabuzzino e lo aggiornava con scrupolo,senza rischio di errore o di distrazione. Aveva deciso che era meglio così, cheil rumore lì intorno era troppo e troppo fastidioso. Che le parole stesse eranoormai prive di senso e di contenuto. Alla tv rimbombavano frasi sconvolgentiche inneggiavano alla verità. La verità in una scatola di latta? La verità inuno show da quattro soldi? Ma di quale diavolo di verità si stava parlando?Dove stava la celebre verità di cui tutti si paludavano con grande ardore?
Così un giorno avevadetto stop. Stop alla voce; stop al suono; stop, stop, stop.
Non solo nonavrebbe più parlato, ma nemmeno scritto, nemmeno accennato. In fuga dal falsoaveva deciso di eliminare da sé ogni possibile abuso di parola. Volevaritrovarla pura e intatta, al suo grado zero, nella sua integrità: svuotarla ditutto per ridarle significato. E’ naturale che una vita senza parola, gesti,cenni risulti agli occhi di tutti davvero complessa. Ma Jonathan si eraingegnato: la poesia di altri-una poesia di indubbia sincerità questa volta, diverità vera- avrebbe parlato al suo posto nelle grandi e nelle piccoleoccasioni, gli avrebbe dato a prestito i suoi versi resi verdi dal nuovo uso.La parete delle poesie era nata così. Spostati un paio di mobili e acquistatealcune scatole di puntine, Jonathan aveva cominciato ad annotare poesie sufogli sparsi. Sceglieva quelle che gli piacevano, quelle che gli sembravanoimportanti, quelle che lo facevano arrabbiare anche. E le posizionava lassùseguendo un criterio fondato sul genere: qui le strofe sulla natura, qua quellespiccatamente erotiche; là in alto quelle sulla morte e il dolore; poco piùsotto un bel mucchio con dentro il mare, il cielo e le cose azzurre;nell’angolo qualcosa sui pianeti e le stelle; un po’ oltre versi sull’amore noncorrisposto, su quello finito, su quello appena iniziato. Non era raro che unapoesia cambiasse posizione. Dipendeva dal momento e dal tipo di lettura cheJonathan ne dava. “Che sciocco- pensava senza parole- che sciocco a non avercapito prima” e via a staccare la puntina con relativa poesia dalla sezione viaggioper riposizionarla più in alto assieme a quelle su Dio. La parete si era fattacol tempo sempre più grande, aveva occupato il lato sud della camera, poi ancheil lato nord, costringendo al centro tutti i mobili che stavano accanto almuro. La sua compagna non aveva capito. Dopo i primi nove mesi, diciasettegiorni e una manciata di ore di silenzio, l’aveva posto davanti a un secco autaut: smetterla con la sua fissazione ritornando alla vita di sempre o nonvederla mai più. Lui l’aveva guardata, aveva preso uno sgabello e staccato unapuntina in alto a destra. Le aveva porto il foglio di Simonov.
 
Aspettami ed io tornerò,
tuttavia aspettami con tutte le forze.
Aspettami
quando le gialle piogge ispirano tristezza.
Aspettami quando infuria la tramontana.
Aspettami quando c’è caldo.
Quando più non mi aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere.
Aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano con te.
Aspettami ed io tornerò:
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.   […]
Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò, non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare
semplicemente
come nessun altro.
 
Lei aveva lettole prime righe, storto il naso e accartocciato Simonov. Quando era uscitasbattendo la porta, Jonathan si era ripreso la poesia e l’aveva riattaccataalla parete: non più nell’ala speranza, però, ma nel settore amore noncorrisposto.
Il lato buffodella cosa era che in molti avevano preso a chiedergli consiglio: una frase,una parola giusta chiesta all’uomo che rifiutava le parole. A un marinaio checercava qualcosa per riconquistare l’amata dopo lunghe peregrinazioni, Jonathanaveva regalato un verso del greco Ganas “Respirie m’inondi”. Quello l’aveva fissato stupito e se n’era andato col suopost-it tra le mani. Mai aveva pensato che le parole potessero essere dolcicome lo era su un molo la brezza della sera. A un giovane seminarista, incapacedi conciliare la sua fede con i desideri del corpo, Jonathan aveva passatodalla fessura sotto la porta una manciata di versi di Prévert
 
E Dio
Sorprendendo Adamo ed Eva
Disse loro
“Continuate vi prego,
non curatevi di me.
Fate come se non ci fossi”
 
Il ragazzo avevarinunciato all’abito, si era sposato, aveva avuto un bambino.
Per ognunoJonathan trovava la risposta giusta anche alla domanda non posta. Le suegiornate le passava a leggere, a scrivere, ad attaccare nuovi fogli alla paretee sostituirne di vecchi. Niente e nessuno, se non quelli che andavano achiedergli consiglio, potevano distorglierlo dal suo lavoro. Addirittura in paesesi mormorava che fosse ormai in grado di resuscitare i morti. Sembrava infattiche un’anziana vedova, dopo avergli parlato, avesse ricominciato a incontraresuo marito ogni giovedì a mezzanotte sotto il salice del parco. A quel punto intantissimi avevano affollato l’atrio della sua casa per chiedere spiegazioni euguale trattamento. Lui aveva alzato le spalle e indicato sulla parete lapoesia che era toccata alla vedova. Quella volta era Kavafis.
 
Ritorna spesso e prendimi
Ritorna e prendimi sensazione amata.
Se la memoria del corpo si desta
E il vecchio spasimo passa nel sangue,
poi che le labbra e la pelle trasalgono
e ancora le mani sembra che tocchino.
Ritorna spesso e prendimi la notte
Poi che le labbra e la pelle trasalgono.
 
Gli altri non avevanocapito. Pensavano che quel personaggio muto nascondesse loro qualcosa, che cifosse ben altro nel suo intervento miracoloso. “Ma non sanno che la memoria puòfar rinascere le cose?” si domandava- sempre senza parole- Jonathan.
Il tempo passavae le poesie avevano ormai occupato tutte le pareti della casa. In  pochi ora andavano a trovarlo: dopo il fattodella vedova, le voci che si trattasse di un truffatore si erano moltiplicate ele richieste di consiglio avevano subito un brusco rallentamento. Ma a Jonathansembrava non importare. Sentiva di avvicinarsi sempre più al grado zero dellaparola, alla sua origine, alla sua purezza. Poi una mattina si era bloccato conuna puntina in una mano e un paio di versi di Fried nell’altra. Esattamente ottoanni sette mesi e quindici giorni prima aveva smesso di parlare. Ma soprattuttoaveva smesso di vivere. Chiuso nella sua casa, circondato da parole splendidedi geni eccezionali, Jonathan aveva perso tutto il resto, tutte le brutture ele bellezze di una vita passata fuori da una piccola stanza. Jonathan era,infine, totalmente solo. D’improvviso si era ricordato la frase di un altrolibro, un romanzo questa volta, una frase lapidaria che poteva in qualche modosembrare un verso: “Ma i vivi vengono prima”. Jonathan si era accasciato aterra. Per la prima volta gli erano tornati in mente il viso di Katrina, le suemani, la sua voce quando cantava d’inverno davanti alla finestra. Era corsoverso la porta. Poi era tornato indietro e aveva afferrato qua e là un po’ dipoesie perché gli permettessero di parlare, ora che lui non poteva più farlo.Se le era ficcate in tasca. Aveva acciuffato il cappotto e si era gettato di fuori.Il vento l’aveva morso all’improvviso, la luce del tramonto gli aveva ficcatoun dito nell’occhio. Mentre camminava si chiedeva- senza parole perché ora nonne aveva proprio più- se lei abitasse ancora lì dove lui ricordava. Dopo ottoanni? Ma doveva andare.
Lei non c’era.Gli avevano indicato un’altra casa. Chissà poi come avevano fatto a capirlo.Tagliando nel parco l’aveva intravista su una panchina intenta ad ammirare ilsole calante. Si era accorta di lui. Ora sorrideva divertita. Jonathan cominciòa frugarsi in tasca. Chiare, fresche,dolci acque…no; Questa è la mialettera la mondo che a me mai non scrisse…no; Un tizio mi aveva detto: non devi preoccuparti dei vermi quando saraimorto… Decisamente, sicuramente no. Lanatura è un tempio dove incerte parole…no. E ancora no. Ora che dovevaaiutare se stesso non sapeva trovare la poesia giusta. Dopo otto anni e settemesi, al tramonto del quindicesimo giorno, Jonathan scoppiò in lacrime e caddea terra nel parco; piangeva disperato, in ginocchio, con le mani sulla testacome in un’ode funebre. Anche i suoi gesti ora si erano ridotti e amplificaticome in una poesia.
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo digente in gente, mi vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo, ilfior de’ tuoi gentili anni caduto. Solo che Jonathan era seduto adesso sullasua stessa pietra, cosa che era ancora più triste. Infinitamente più triste. Katrinagli si avvicinò e gli diede un fazzoletto. Poi tirò fuori dalla tasca un foglioe glielo passò. Per la prima volta Jonathan si trovò a ricevere una poesiainvece di darla. Era la grafia di Katrina. Aspettamie io tornerò, tuttavia aspettami con tutte le forze…
Quando leicominciò a parlare, Jonathan le guardò le labbra con attenzione. Non riusciva asentirla. Per quanto si sforzasse, non c’era attorno a lui alcun suono. Katrinacapì e fece silenzio. E a quel punto nella testa di Jonathan fece capolino la vocedi lei. Diceva di averlo aspettato a lungo. Di aver passato cinque mesi sottola sua finestra, di aver rotto un vetro anche. Un vetro spaccato grazie a ungrosso sasso con appallottolata intorno una poesia di Salinas sulla paurad’amare. Nella mente di Jonathan in un attimo venne fuori il testo. Terzapoesia dall’alto. Settore terrore/bellezza.
 
Paura. Di te.
Amarti è il più alto rischio.
Molteplici, la tua vita e tu…
 
Katrina dicevadi amare tanto la poesia, di pensarla come un amplificatore per le cose. Diamarla tanto sì, ma di non volerle permettere di darle la morte.
Lo accusò diessersi dimenticato di lei benchè Prévert e Salinas e Neruda e tutti gli altrinon parlassero che di lei.
Poi aprì le labbrae tacque.
I fogli di cartacominciarono a uscire dalle tasche di Jonathan e a volarsene via.
Di nuovo la vocedi Katrina indicò qualcosa. Qualcos’altro di cui si era dimenticato.
In tutta frettauna bimbetta accompagnava il suo ranocchio di peluche sull’orlo della fontana.  
Jonathan lafissò per qualche minuto.
Poi le andòvicino e ricominciò a parlare.
 
Ada libera ilpiede. Il pianoforte ora sta affondando nel mare.
 
   
Silenzio
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Silenzio

A short story about the relationship between life and art

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